Gloria e vergogna, a un tempo, della poesia è il fatto che il suo mezzo tecnico non le appartenga in modo esclusivo, che il poeta non possa inventare le proprie parole e che le adopera per mille diversi scopi. Nelle società moderne, in cui la lingua è di continuo degradata e ridotta a un non-linguaggio, il poeta corre costantemente il rischio che il suo orecchio venga corrotto – rischio al quale non sono esposti né il pittore né il musicista, i cui mezzi espressivi sono loro patrimonio esclusivo. D’altro canto, egli è più al riparo di costoro da un altro pericolo oggi diffuso, quello del soggettivismo solipsistico; per quanto esoterica possa essere una poesia, il solo fatto che tutte le parole che la compongono siano reperibili in un dizionario la rende testimone dell’esistenza degli altri. […]
La differenza fra prosa e verso è evidente di per sé, ma tentare di darne una definizione è una pura perdita di tempo. Anche la definizione di Frost, che considera la poesia l’elemento intraducibile della lingua, risulta plausibile a prima vista, ma non regge a un esame più attento. In primo luogo, anche nella più rarefatta delle poesie si trovano elementi traducibili. Intraducibili sono, naturalmente, il suono delle parole, i loro nessi ritmici, e tutti quei significati e quelle associazioni di significati che dipendono dal suono, come le rime e i giochi di parole; ma la poesia non è puro suono come la musica. Tutti quegli elementi della poesia che non si fondano sull’esperienza verbale sono, in certa misura, traducibili in un’altra lingua: ad esempio, le immagini, le similitudini e le metafore tratte dall’esperienza sensoriale. Inoltre, poichè una caratteristica che tutti gli uomini hanno in comune, indipendentemente dalla loro cultura, è l’unicità – ciascun individuo appartiene a una classe composta di un solo membro – sopravvive alla traduzione l’immagine irripetibile che ogni autentico poeta ha del mondo. Se prendiamo una poesia di Holderlin e una di Goethe e ne facciamo una versione letterale in prosa, qualsiasi lettore riconoscerà che le due poesie sono state scritte da persone diverse. In secondo luogo, se il discorso non potrà mai divenire musica, non potrà nemmeno, d’altro canto, farsi algebra. Anche nel linguaggio più “prosastico”, quello informativo e tecnico, sussiste un elemento personale, perché il linguaggio è creazione personale. […] Un linguaggio puramente poetico sarebbe impossibile da imparare, uno puramente prosastico non meriterebbe di essere imparato.
– Wystan Hugh Auden, da La mano del tintore, traduzione di Gabriella Fiori, ed. Adelphi 1999 –